
FOTOGRAFARE AD UN CONCERTO: IL MURO DEL CANTO AL KALINKA DI CARPI
Fotografare ti distrae da ciò che stai vivendo?
È una credenza comune: fotografare ti distrae da quello che stai vivendo. Uno studio recente potrebbe dimostrare il contrario
“Ma come fai a goderti un concerto se non fai altro che fotografare?”
Dopo “Quanti anni hai?” e “Cosa significano i tuoi tatuaggi?”, quella iniziale è certamente la domanda che mi viene rivolta più spesso e, a differenza delle altre due, è anche l’unica cui non sono ancora riuscita a dare una risposta vera e propria.
Fotografo concerti per passione, quindi la domanda è certamente lecita. Il problema è che quando non lavoro ho SEMPRE la macchina fotografica con me nella borsa, anche se la rende scomoda e pesante; i miei amici sanno che quando usciamo, c’è anche la 6D con me (mi deridono? Alla grande), anche se a volte non la uso.
“Come fai a goderti quello che fai se pensi a fotografarlo?”
Oggi mi sono imbattuta in un articolo di PetaPixel in cui si parla di un esperimento, i cui risultati sono stati pubblicati sul “Journal of Personality and Social Psychology” meno di 10 giorni fa, il 6 giugno.
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E SE FOSSE SOLO UNO?
Prendi una decisione, datti un… obiettivo!
Qualche notte fa mi sono svegliata di soprassalto ad un orario improponibile perché avevo fatto un brutto sogno, anzi, un vero incubo: venivo contattata dallo studio fotografico di matrimoni con cui collaboro per un servizio dell’ultimo secondo. Mi venivano fornite poche spiegazioni: vai al tal indirizzo, troverai Francesco e ti dirà cosa c’è da fare. Parti immediatamente, comunque dovrai fare solo qualche scatto.
Mi viene dato ad intendere che non si tratta di un matrimonio, ma di altro.
Vuole il caso, la trama malefica dell’incubo, che avessi in quel momento a disposizione solo il corpo macchina ed un obiettivo, per l’esattezza il 70-200 f2.8; nessun flash, nessuna batteria di ricambio, una sola scheda da 16GB. Non ho alternative, mi reco al luogo designato sperando che la situazione non sia quello che scoprirò essere… un matrimonio!!!
Cosa vuoi che faccia con un 70-200 f2.8 ad un matrimonio?!
Bene, dopo un tempo che non si sa mai quanto sia davvero perché, comunque, stai dormendo, mi sveglio con ancora forte la preoccupazione provata del non essere all’altezza della situazione e del lavoro che mi era stato chiesto di portare a termine.

Il giorno successivo mi sono chiesta: al di là dei matrimoni e degli altri servizi di cui mi devo occupare per lavoro, cosa farei in una situazione di totale libertà creativa avendo a disposizione un solo obiettivo? Se mi fosse dato scegliere, quale porterei con me durante una passeggiata in città, o un evento pubblico?
Non ho potuto fare altro che dare il via ad una trattazione interiore, perché il mio parco ottiche è composto dai più diversi obiettivi (Canon 24mm f2.8, Canon 50mm f1.8, Canon 24-70 f2.8, Canon 85mm f1.8, Sigma 70mm f2.8 e Sigma 70-200 f2.8) e per ognuno ho una destinazione ben precisa; soprattutto, non ho mai un solo obiettivo con me per cui solitamente scelgo quello più adatto a seconda del contesto, dello “spazio di manovra” in cui posso muovermi e del tempo che ho a disposizione per cambiarlo.
Tu, invece, ti dai più scelta possibile o cerchi di restringere il campo sempre e comunque, portando con te i tuoi obiettivi preferiti a prescindere? 🙂 LEGGI TUTTO >>
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ANNIE LEIBOVITZ, AMERICAN MUSIC
Annie Leibovitz e il suo “arazzo americano”
Cominciamo dalla fine, da quello che si può descrivere a parole.
Le dediche di Annie, i ringraziamenti, arrivano in fondo al libro, a pagina 263, quasi a non voler disturbare chi lo sfoglierà dall’inizio con le sue “parole” – meglio, per un fotografo, lasciar parlare prima le immagini. No? Così quando arrivi in fondo e hai ammirato la bellezza di ogni singolo scatto, sai che quei ringraziamenti sono davvero importanti; ultimo, fra tutti, quello alla compagna Susan Sontag, che chiude “American Music”, nella semplicità di un atto d’amore tanto profonda in quanto arriva alla fine.
“American Music” è arrivato fra le mie mani sotto forma di regalo di compleanno, impacchettato in un involucro color carta da zucchero con un bel nastro rosso.
Non c’è niente che possa rendere tanto felice un’appassionata di fotografia, musica e libri come il libro di una fotografa dedicato ai ritratti dei musicisti!
Avevo adocchiato questo volume una sera, all’esposizione di un’amica in quel di Modena, dove faceva bella mostra di sé fra pizzi e argenteria; un libro con la copertina rigida, un po’ severa, senza fronzoli.
Lo vorrei, ho detto, e qualche mese dopo sono stata accontentata 🙂
Mi piacerebbe parlarti, ogni tanto, di libri dedicati alla fotografia e ai fotografi; credo che anche tu investa un po’ del tuo budget in “bibliografia”, oltre che in attrezzatura fotografica, per arricchire il tuo bagaglio culturale e per prendere spunto dai più grandi anche senza bisogno di visitare una mostra – visto che il tempo a disposizione e le distanze geografiche non sempre lo permettono.
Non tratterò necessariamente delle ultime uscite, ma anche dei libri che penso dovrebbero essere in bella mostra nella libreria personale di ogni fotografo o appassionato di fotografia nelle sue più diverse accezioni (musica, ritratto, paesaggio, ecc.); oggi “rispolvero”, ad esempio, un volume del 2003.

Edito dalla Random House di New York, pesa quasi 2 kg ed è un vero piacere da sfogliare con le sue grandi pagine ruvide e profumate.
Apre per prima una foto di Pete Seeger, scattata a Croton-on-Hudson, sulle rive del fiume; Pete il cantante folk attivista americano per antonomasia. Cerata arancione da pescatore, t-shirt blu, cappellino verde, banjo a tracolla e lo sguardo che vaga lontano, mentre lo sfondo ciano si perde fra le acque e il cielo.
“Bene”, ho pensato, “si comincia”.
Un incipit forte che dà il “la” alle successive fotografie. I volti si susseguono fra colori perfetti e bianchi e neri da capogiro, in un’atmosfera che, nonostante le diverse location e persone ritratte, resta sempre la stessa. L’intenzione della Leibovitz sembra quasi quella di gettarti addosso una situazione, senza intermediari, nell’immediatezza del momento – incredibile, perché la tentazione di soffermarsi sull’analisi della composizione è forte, ma lo stupore vince ed ammutolisce il sezionamento analitico. Non sai quanto caso ci sia in tutto questo, quanto la fotografa abbia pilotato. I colori sembrano stati scelti appositamente, i dettagli del monocromatico incisi con un bisturi.

Annie ha lavorato come fotografa per la rivista Rolling Stone dal 1970 al 1983, 13 anni per formare l’occhio e la mano incredibile che, più tardi, l’hanno spinta a riprendere in mano con una nuova maturità i suoi temi originali, per trasformarli in quello che ha definito un vero e proprio “arazzo americano”.
Questo libro raccoglie l’essenza dei suoi viaggi nell’intero paese fra il Delta del Mississippi, negli honkytonk (taverne con sale da ballo) in Texas, nei jazz club di New Orleans “per scattare foto nei luoghi che significano qualcosa”. Il risultato è un insieme dei più grandi volti americani nell’ambito della musica che tocca i generi più disparati, in una rassegna silenziosa che fa sorridere, a volte rimanere bocca aperta, più spesso lascia alla contemplazione dell’immagine.
Ci sono alcuni intermezzi scritti proprio dai musicisti: Patti Smith, Beck e Ryan Adams, per citarne alcuni, e della stessa Leibovitz che racconta di sé e della genesi del libro.
Alla fine si trovano anche le note alla foto, che non sono solo note didascaliche ma costituiscono dei veri e propri racconti sulle vite dei personaggi ritratti.
B.B. King, Johnny Cash, Willie Nelson, Aretha Franklin, Eminem, Mary J. Blige, System of a Down, Jon Bon Jovi, Trent Reznor, Green Day, The White Stripes, Iggy Pop, Michael Stipe, Tom Waits, Miles Davis, Etta James, Norah Jones, Louis Armstrong, Bob Dylan… questi i nomi dei musicisti che forse conosciamo di più all’interno del panorama italiano, ma sono tanti altri quelli che completano il viaggio nel panorama dell’”American Music”.

Un libro che consiglio assolutamente a chi, come me, non può fare a meno di unire fotografia e musica, ma anche a chi vuole prendersi un po’ di tempo per sé, magari con una tazza di tè bollente o di caffè al ginseng, per conoscere più da vicino uno dei lati di Annie Leibovitz.
Se ancora non lo possiedi, puoi sempre fartelo regalare… 😉
C’è, invece, un libro che tu vorresti regalare o che vorresti farmi conoscere? Un libro che ti ha colpito particolarmente e di cui vorresti sentir parlare?
Aspetto i tuoi suggerimenti,
a presto!
Gloria
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BILLY TALENT, AIR CANADA CENTRE, 2/2/2007 © DUSTIN RABIN
Datemi un palco e vi dirò chi sono: intervista a Dustin Rabin
Qual è il tuo genere fotografico preferito, la tua passione più grande, il campo che ti infervora maggiormente e che ti fa desiderare di avere sempre la macchina fotografica a portata di mano?
Il mio è la fotografia live, senza ombra di dubbio!
Quando non faccio foto ai concerti, allora cerco su internet le gallery dei fotografi professionisti in campo musicale e sogno ad occhi aperti.
Sapendo di questa mia grande passione, spesso ricevo delle email con link a siti del genere da Simone Poletti e Simone Conti, come piccoli regali che mi vengono recapitati di tanto in tanto – qui in ufficio è sempre Natale, insomma, anche quando non si scartano i pacchi 😉
È così che sono capitata sul sito di Dustin Rabin – in realtà, mi è stato suggerito anche perché ha fotografato una delle mie band preferite, i Queens of the Stone Age; oltre che fotografa, sono soprattutto una patita di musica 🙂
Dustin ha un’incredibile capacità di adattarsi alle diverse situazioni e di offrire un immaginario visivo mai uguale a se stesso; ogni sua foto, pur mantenendo un filo conduttore con tutte le altre, vive di vita propria e rispecchia in maniera perfetta il momento in cui è stata scattata, le energie delle persone ritratte, le atmosfere che si respiravano al momento del click.
Questo è ciò che mi ha colpito del suo lavoro; ecco perché invito anche te a visitare il suo sito, ricco di immagini di concerti, backstage e ritratti di musicisti – alla fine dell’intervista troverai il link.
Mi auguro che Dustin Rabin ti piaccia tanto quanto è piaciuto a me!
Ora è venuto il momento di lasciarti alle sue parole 🙂
FP: Ciao Dustin, benvenuto su FotografiaProfessionale!
Quando hai cominciato a fotografare?
DR: Grazie a mio padre ho avuto a che fare con le macchine fotografiche per la maggior parte della mia vita. È lui che mi ha insegnato le basi della fotografia (diaframma, tempi di scatto, iso) quando ero molto giovane e ho giocato con cose come la profondità di campo e il mosso usando la Minolta di mia madre.
FP: Hai mai partecipato a corsi di fotografia, preso lezioni o altro, oltre che da tuo padre? 🙂
DR: Ho partecipato ad un corso di comunicazione di 2 anni che includeva un semestre di fotografia in bianco e nero, che insegnava sia le basi che lo sviluppo e la stampa in bianco e nero. Sono molto contento di aver fatto esperienza stampando le mie foto in camera oscura, per il resto conoscevo già gli argomenti trattati.
FP: Il tuo centro d’interesse riguarda soprattutto la fotografia live. Quando e perché hai cominciato ad esserne attratto?
DR: Al college intervistavo le band per la nostra radio e a volte le interviste venivano stampate nel giornale della scuola. Una volta mi è stato dato un pass foto per scattare ad un concerto, e quello è stato per me l’inizio di una nuova vita.

16-35mm, 16-35mm f 2.8, 1995, 50mm f 1.2, 70-200mm f 2.8, aereo, alberta, allenamento, Analogico, anni 90, Anton Corbijn, b/n, band, Barry Wentzell, beastir boys, bianco e nero, billy talent, Bob Gruen, Brian Hamill, Caitlin Cronenberg, camera oscura, Canada, città, clienti, college, colori, concerto, Corpo Macchina, denaro, DSLR, dustin rabin, editing, edmonton, foo fighters, Fotografia, fotografia live, fotografia musicale, FotografiaProfessionale, FotografiaProfessionale.it, fotoritocco, freelance, giornale, gruppi, Harry Benson, illuminazione, Internet, interview, intervista, Jamie Vedres, Jim Marshall, Lance Mercer, lavoro, live, luci, Macchina Fotografica, magazine, minuti, MJ Kim, musica, musicisti, natura, Neal Preston, nirvana, Obiettivi, paesaggio, palco, pass, pass foto, paul mccartney, pellicola, photo pass, Photoshop, pit, portfolio, post-produzione, postproduzione, professione, ragio, ritocco, rock & roll, rock & roll hall of fame tour, rolling stone, rullino, Sante D’Orazio, soda, stage, stampa, stile fotografico, sviluppo, tempo, tenacia, Valigia, Vanessa Heins, viaggio, vista, volontà

BAKE OFF ITALIA © STEFANO PEDRETTI
Un fotografo versatile dall’animo rock: intervista a Stefano Pedretti
Com’era già successo in occasione di una precedente intervista, quando Simone Conti mi aveva suggerito il nome di Jee Young Lee, anche in questo caso il nome del fotografo oggetto delle mie domande mi è stato suggerito, questa volta da Simone Poletti.
“Vieni un attimo di qua”, dice dal suo ufficio, e mi mostra i ritratti che Stefano ha realizzato per l’ultima edizione di “Bake Off Italia”: colpita nel profondo (ammetto di essere un’accanita fan del programma) ed impressionata da tutti gli altri lavori e dai numerosi progetti paralleli, capisco che ho davanti il prossimo intervistato di FotografiaProfessionale 🙂

FP: Ciao Stefano, benvenuto su FotografiaProfessionale!
Quando è nata la passione per la fotografia? Hai mai partecipato a corsi, preso lezioni, o sei completamente autodidatta?
SP: Sono autodidatta, come in tutto quello che mi è capitato di fare.
Per quanto riguarda la fotografia venivo da quasi 10 anni di art direction per cui non è stato un iniziare da zero.
Passione per la fotografia non so, ho sicuramente la passione per l’immagine e la macchina fotografica è uno strumento, al pari di una matita, ma la matita non la so usare. LEGGI TUTTO >>
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